Identità in rotta verso luoghi di metamorfosi

da “Il Sole 24 Ore” – Domenica 19 Marzo 2023 – N.77

Ogni anno scegliamo un tema attorno a cui accogliere e raccogliere i nostri saperi in dialogo. Quando, per il corso di quest’anno, abbiamo scelto Migrazioni, declinandolo in tre percorsi – Corpi, Frontiere, Spazi – non immaginavamo che avremmo avuto gli occhi pieni di lacrime per il naufragio di Cutro. Ma avremmo potuto immaginarlo, è l’ennesimo. Cerchiamo di creare un contatto con il dolore e l’ingiustizia di quanto accaduto.

Raccontare la storia senza usare la parola «migrante» è impossibile. Una parola che la politica fa fatica a comprendere. Ancora di più quando si consegna a semplificazioni disumanizzanti sulla disperazione che non giustifica certe traversate perigliose o a illusioni ritempranti che mettono, prima degli altri, “gli italiani”. Siamo tutti figlie e figli delle migrazioni, che tra le parole dell’oggi è quella coi più vasti orizzonti. Omnia migrant, diceva Lucrezio. Migrano le persone, le idee, le cellule, gli ioni. Il movimento è inseparabile dalla vita, per Montaigne è «ineguale, irregolare e multiforme». Il titolo di questa lectio è Le radici e le ali: migrazioni, metamorfosi, identità perché «migrazioni» e «metamorfosi» abitano il cuore del presente e aiutano a declinare il concetto di «identità». Che ha bisogno di radici e di ali. Apparentemente incompatibili, insegnano la regola della convivenza. Le radici appartengono al passato, sono la memoria, le ali guardano al futuro, sono l’invenzione, la meta e la trasformazione. La misura del loro rapporto segna il senso delle nostre esistenze, il dialogo tra memoria e speranza. Una tensione che dobbiamo saper negoziare, sul piano sia individuale sia collettivo. Identità non è solo rafforzare una radice, è anche incontrare percorsi altrui e abitare il paesaggio. Il concetto di identità diventa fondativo solo se accompagnato da quello di somiglianza. In cosa siamo diversi, ma in cosa siamo uguali? Aspirare a un’identità impermeabile e compatta, radici senza ali, è un sintomo di paura dell’altro e del cambiamento. L’identità è un fermo immagine. È una casa che non costruiamo da soli e non possiamo abitare fuori dal tempo e dalla storia. In un verso di Robert Frost, «la casa è il posto in cui, quando ci devi andare, ti devono accogliere». L’individuo come entità indivisibile è un’illusione. Va ripensato in termini di somiglianza, partecipazione, convivenza: «non individuo, ma co-individuo», scrive l’antropologo Francesco Remotti. «Non un “essere compiuto”, un’individua substantia in radice arelazionale, ma un essere composito, solcato e formato dalle relazioni che lo connettono al mondo naturale e sociale».

Lo studio delle migrazioni invita a studi transdisciplinari: geopolitici, climatici, economici. L’innalzamento del livello degli oceani, la distruzione ambientale, l’oppressione politica, la povertà, la guerra. Lo studio dell’esperienza traumatica e le sue eredità emotive, ma anche la dignità, il coraggio e «il principio speranza» del filosofo tedesco Ernst Bloch. Vicino al quale ricordo un altro filosofo, Walter Benjamin. Profugo ebreo in fuga dal nazismo che, giunto sul confine franco-spagnolo, sfinito, si suicida. La Gestapo aveva sequestrato la sua casa di Parigi, la sua biblioteca. Era reduce da una lunga traversata sulla montagna. A Portbou, al confine tra Francia e Spagna, dove il suo corpo non è stato trovato, lo scultore Dani Karavan ha costruito un monumento e lo ha chiamato Passagen. Per iscrizione un frammento benjaminiano: «È compito più arduo onorare la memoria di esseri anonimi che non quella di persone celebri. La costruzione storica si consacra alla memoria di coloro che non hanno un nome».

Migrazioni è un titolo che vuole aprire, come è nel Dna della SSAS, i confini del dialogo interdisciplinare. Migrazioni è un tema che produce la consapevolezza che i pensieri stessi sono migranti. Ogni lingua, ogni cultura sono figlie della migrazione interminabile di persone, parole, idee. Penso a Winfried Sebald, al suo libro Gli emigrati, quattro personaggi legati alle vicende del popolo ebraico, di cui Sebald ripercorre il cammino attraverso testimoni, diari, fotografie, oggetti. Migrazione, narrazione e memoria sono inestricabili.

Se anche i corpi, come abbiamo detto, sono parte del tema migratorio (il cinema contemporaneo lo racconta splendidamente: Fuocoammare di Rosi, Europa di Rashid, Trieste è bella di notte di Segre), anche le migrazioni di genere costituiscono un viaggio che parla di radici e di ali. Corpi che migrano verso altre destinazioni identitarie, a volte per raggiungerle in piena identificazione binaria, altre per sperimentare transiti più sospesi, meno polarizzati. Rotte migratorie e metamorfiche che, nel linguaggio e nel corpo, attraversano e scompigliano l’ordine a cui eravamo abituati. Ogni metamorfosi contiene un’aspirazione, una rivelazione e un dolore. Ocean Vuong è poeta vietnamita, migrante a 18 mesi verso il Nord America. Un suo verso contiene l’indicibile complessità di ogni migrazione, ciò che lasciamo alle spalle e ciò che ci attende. «La parte più bella del tuo corpo è il luogo verso cui si dirige. Ricorda, la solitudine è comunque tempo trascorso insieme al mondo». Accogliamo e ascoltiamo, partecipiamo con gli strumenti della conoscenza e le doti dell’umanità alle migrazioni e alle metamorfosi che attraversando il presente costruiscono il futuro.

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